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Bruno Pesaola il Petisso

Bruno Pesaola il PetissoBruno Pesaola detto il "Petisso", il piccolino, rimane un personaggio di primo piano del calcio napoletano e italiano.
Pesaola è stato uno tra i più grandi tecnici che il nostro calcio ha avuto.

Argentino di Avellaneda, il quartiere centrale di Buenos Aires dove risiedono tre importanti club argentini come il Boca Juniors, l'Indipendiente e il Racing.

Bruno Pesaola, quando era calciatore, era un ala sinistra. Dotato di ottima tecnica e di un fiato inesauribile venne in Italia nel 1947. Fu acquistato dalla Roma, ma il suo destino era già segnato, Difatti, dopo tre stagioni con i giallorosso, due nel Novara, approdò a Napoli nel 1952.

La città più sudamericana d'Italia era il luogo più adatto per questo giocatore dal cuore ardiente. Caldo come il tifo del San Paolo. Infatti il Petisso non faticò a conquistare la tifoseria partenopea.

Memorabili le sue giocate fantasiose, il grande vigore e le immancabili sceneggiate sul campo ne fecero presto un idolo.
Pesaola disputò otto stagioni sempre la maglia numero 11, fece coppia con Jeppson e poi con Vinicio e realizzò 25 reti.

Ma la vera storia del Petisso inizia come allenatore. Naturalmente iniziò da Napoli il primo febbraio 1962. All'epoca la squadra del Vesuvio giocava nella serie cadetta e Pesaola venne chiamato per portare gli azzurri nella massima categoria.

Il suo esordio fu contro il Modena e vinse 2-0, fu la sua prima vittoria sulla panchina e fu anche la prima di una lunga striscia di risultati utili che permise al Napoli di salire in Serie A.

Pesaola sognava in grande, ma la società viveva alla giornata, senza programmi e senza fare una campagna acquisti programmata. Il Napoli di allora doveva affidarsi totalmente al suo vivaio, anche se acquistò grandi campioni, ma erano acquisti che servivano più ad impressionare il pubblico piuttosto che dare garanzie all'allenatore. Così il Napoli ritornò in B, Pesaola venne esonerato ma l'allenatore argentino poteva andarsene a testa alta.

Il Napoli lo richiamò nel campionato 1964. Questi accettò, ma solo a determinate condizioni. La società doveva comprare solo i calciatori che voleva. Ed è proprio così che inizia una delle più grandi stagioni del calcio napoletano.

Pesaola cercò giocatori, non solo bravi tecnicamente, ma anche adatti a convivere con una città come Napoli. E chi meglio di Omar Sivori e Jose Altafini. I due erano in bilico con le rispettive società, Juve e Milan. Pesaola fu bravo a sfruttare il momento, portandosi a casa entrambi i due fuoriclasse sudamericani.

Sivori e Altafini ci misero poco a conquistare il pubblico. Ma il merito di Pesaola fu quello di non trascurare mai il resto della squadra. Dimostrando di essere un perfetto uomo da spogliatoio. Così il Petisso vide sbocciare anche campioni nostrani come Juliano, Montefusco e Dino Zoff.

Furono tre anni fantastici che proiettarono il Napoli nelle zone nobili della Serie A. Non riuscirono mai a vincere lo scudetto, ma riuscirono a regalare spettacolo ed emozioni su tutti i campi, piazzandosi: al quarto, terzo e secondo posto.

Poi Sivori preparò le valigie per tornare in Argentina e qualche meccanismo si deteriorò. A quel punto il tecnico perferì lasciare Napoli per Firenze dove riuscì a compiere un vero miracolo, con i viola conquistò uno storico scudetto nel 1968/69.

Con una squadra da metà classifica conquistò il tricolore. I segreti del suo successo furono quelli di: primo non prenderle costruendo un muro davanti alla porta con difensori molto fisici e grintosi. Secondo un centrocampo ordinato con un "libero" davanti alla difesa in grado di dettare i ritmi per tutta la squadra. I De Sisti trovò un'interpfrete perfetto in questo ruolo. Ai suoi fianchi mise due motorini instancabili che correvano avanti e indietro senza mai fermarsi. E in attacco un certo Amarildo, che nel 1962 fece vincere il Mondiale in Cile al Brasile.

Un giocatore che veniva da un momento non felice dal Milan, ma che il Petisso riuscì a far resuscitare con la maglia viola.
Fu una stagione perfetta e irripetibile. Pesaola rimase ancora un anno poi andò a Bologna dove restò per quattro anni a insegnare calcio. Non vi furono grandi risultati, ma furono anni di bel gioco per gli estimatori del calcio giocato.